Siamo andati nella lontanissima (per noi) Val Maira a studiare la neve. Perché mai direte voi? Non c’era abbastanza neve a casa nostra?
Beh, perché corsi così da noi non ne fanno. Perché avevamo voglia e bisogno di saperne di più e perché, ultimo ma non ultimo, avevamo voglia e bisogno di passare due giorni a studiare e divertirci (che per noi è la stessa cosa). Così siamo saltati in macchina per andare in un punto piuttosto vago dall’altra parte del Piemonte. Grazie ai potenti mezzi tecnologici ci siamo sbarbati un paio d’ore di piccole provinciali perse nella nebbia del pinerolese e saluzzese. Dopo aver vagato tra frutteti e nebbiolina umida da giorno dei morti siamo arrivati nel cuneese dove un benzinaio molto gentile si è commosso. Ha raccattato un “locale” con un pick-up decisamente vissuto che ci ha scortati fino all’imbocco della valle. Da lì a Ponte Maira è stata una passeggiata (un altra ora di viaggio) che ci ha portati a destinazione.
Marco Chierici (il nostro docente/istruttore) ci ha raccattato in una piazza deserta e silenziosa e ci ha finalmente portati in un posto civile, caldo, accogliente e con tutti i comfort (polenta, birra e riscaldamento acceso). Marco è un collega fantastico, un ligure d.o.c.g. istruttore di sci alpinismo ed esperto di nivologia e valanghe il quale tra un “belin” e l’altro si è preso cura di noi per tutto il week-end.
Il sabato mattina nevicava grosso un dito. Ci aspettava una lunga teoria di powerpoint che Marco (nella sua infinità bontà aveva ridotto a 80 slide dalle 180 iniziali). Tutto era pronto tranne le strade di accesso a Ponte Maira che erano di un intonso e immacolato manto nevoso. I partecipanti al corso arrivano dopo una battaglia di gomme da neve, catene e moccoli sullo spazzaneve che sostava inutilizzato nel parcheggio. Come non ricordare la dolce collega Alina Pratola ferma in mezzo alla bufera che vede sbucare alle sue spalle quattro giovanottoni tedeschi i quali, proferendole parole assolutamente sconosciute, le montano le catene e le permettono di ripartire!
Alfine, con solo una mezz’ora di ritardo cominciamo a parlare di cristalli di neve, stabilità, coesione, compressione, taglio e distacchi. Marco ci rassicurava e non voleva certo spaventarci ma ci faceva vedere video di masse enormi di neve che cadevano a centinaia di chilometri all’ora travolgendo tutto quello che stava a valle e facendoci notare quanto piccolo fosse stato l’innesco rispetto alla bomba atomica che ne derivava. Valanghe a pera di neve a bassa coesione, valanghe a lastroni di neve coerente, valanghe di neve umida segno della primavera che avanza e valanghe di neve asciutta su pendii ripidissimi…
Una mattinata con una valanga dietro l’altra con morti e feriti a profusione ma una opportunità di studio fantastica e insperata. Raramente ho seguito corsi così fatti bene e approfonditi con un docente concentrato, competente e, a volte, (non me ne voglia l’amico Marco) anche simpatico.
Il pomeriggio poi abbiamo cominciato a giocare con gli Artva. Gli Artva sono (lo sanno tutti) quelle scatolette che ci si mette al collo e che emettono un segnale attraverso il quale si può ritrovare l’apparecchio sepolto nelle neve. Tutti noi ci abbiamo provato e tutti noi, incredibile!, lo abbiamo ritrovato. Abbiamo poi sondato la neve ed infine imparato a scavare. Per me, non molto avvezzo alla pala, è stato illuminante e mi sono ricordato perché ho sempre nutrito una sana diffidenza nei confronti di questo utensile. Comunque per chi fosse estraneo all’argomento “pala” posso assicurare che la neve non è leggera come sembra soprattutto quando ne devi spalare tanta in poco tempo.
Prima del punto di congelamento degli arti (alla nevicata si era aggiunto un venticello poco gradito) siamo tornati in aula per un altra sessione teorica che ci ha portato, finalmente, alla meritata cena innaffiata da ottima birra belga.
Il giorno seguente un sole spettacolare e niente crema solare, ovviamente. Tutti con il nostro Artva al collo, ciaspole ai piedi, bacchette ai polsi e pala nello zaino. Pronti per una lezione in habitat. Molte le tappe per osservare il mondo intorno, valutare le condizioni della neve, i punti dove passare e dove assolutamente non andare, ripassando la teoria su cornici, effetto venturi, vento, neve coesa, neve trasportata e un sacco di altre cose che venivano registrate nella nostra testa nonostante le inevitabili scemate che, di solito, gli allievi guide tirano fuori ogni tre per due.
Finalmente abbiamo trovato un canale con qualche metro di neve e lì abbiamo fatto le prove empiriche di stabilità. Abbiamo scavato una colonna di neve, rilevato i vari strati, la consistenza, il peso, la temperatura sollecitando la neve fino allo scivolamento di una parte della colonna su uno strato debole. Nel frattempo le condizioni meteo sono cambiate e un vento freddo ci ha consigliato “caldamente” di tornare alle macchine e alla birra belga così, abbandonato la nostra aula naturale, siamo tornati al caldo. La domenica se ne è andata infine con un rientro a casa velocissimo (avere le idee chiare sulla strada da prendere è fondamentale) che ci ha permesso di risparmiare un ora di viaggio sbeffeggiando la campagna pinerolese dall’alto di una noiosa ma veloce autostrada.
Un week-end lontano da tutti a studiare è più di quanto potessimo pretendere e sperare. Proprio un bel regalo che speriamo di poter condividere con i nostri clienti al più presto.